parzialmente sottratta
alla vista (in un'epoca per ora imprecisabile)
dall'aggiunta di un portico dai pilastri quadrati adesso
quasi interamente asportati dai marosi. Gli elementi
superstiti, conservati nei pressi dell'estremità
sud-occidentale della scenografica facciata, si riducono
a otto basamenti emergenti dalla matta per un tratto di
appena m 23,60, con campate larghe mediamente m 2,20. Una
fase ancora più tarda è attestata, infine, nel medesimo
portico, da altri pilastri che, addossati a quelli già
esistenti, dovettero rispondere ad esigenze di
consolidamento statico. La fase attualmente meglio documentata è quella di epoca adrianea, riconoscibile soprattutto nell'area gravitante sul cortile centrale. La planimetria di tale settore appare a tutta prima convenzionale, con uno schema compositivo che può intendersi come organica maturazione di quanto si presenta in nuce nella Casa dei Cervi ad Ercolano (7) e, in chiave molto più monumentale, nei palazzi domizianei del Palatino (8) e nella villa delle " Grotte di Catullo" a Sirmione (9). Ma a Baia non si puntò su una riedizione meramente geometrica di uno schema ormai aulico: esso fu adottato come una cornice entro la quale dominassero la vivacità e la varietà dei diversi membri struttivi. Modulazioni spaziali, opere murarie ed altezze scalettate rendevano infatti sempre diversi gli ambulacri posti intorno al viridarium ed una fantasia ancora maggiore denota la splendida facciata verso Punta dell'Epitaffio che, per l'esuberanza del suo disegno, può ben rappresentare un raffinato esempio del cosiddetto " barocco classico". Gli ambulacri absidati, edificati in perfetta opera reticolata (cm 8 x 8) ispirata ai modelli augustei risentono, e molto, della lezione fornita dal vestibolo della Piazza d'Oro della villa adrianea di Tivoli (10), dove vennero eliminate alcune parti del muro perimetrale esterno lasciando in vista le curve delle nicchie interne. Nell'esempio tiburtino però quest'innovazione si mostra solo nelle sue prime battute mentre nella villa baiana il prospetto dei due ambulacri absidati sul giardino viene esplicitamente concepito come una trasposizione dell'articolazione interna pienamente sviluppata e portata alle sue ovvie conseguenze, in un contesto ormai svincolato dal rigore degli stilemi tradizionali. In questo interessante episodio struttivo, che ripropone ancora una volta il ruolo di Baia come campo privilegiato entro il quale potessero esplicitarsi prima che altrove le tendenze propositive dell'architettura romana, deve riconoscersi una realizzazione tardo-adrianca (11). A tale epoca riconducono, d'altra parte, l'impiego dell'opera reticolata con le ammorsature in tufelli e la subordinazione delle forme alle vedute prospettiche e alle suggestioni chiaroscurali: il prospetto sul giardino vede, ad esempio, le absidi inquadrate da paraste, ma esse si configurano come un superficiale tributo alla convenzione degli ordini classici poiché la vera decorazione è offerta dal mosso andamento delle masse murarie. Scomparsi i pavimenti in opus sedile, le volte a crociera ed anche le grandi finestre che i due ambulacri baiani dovettero avere in comune col citato vestibolo di Tivoli restano comunque, come si è compreso, sufficienti elementi per poter affermare che queste rovine sommerse rappresentano una delle testimonianze più significative dell'architettura adrianca. A quel determinato periodo sembra rinviare del resto il tema delle due aule circolari che delimitano l'ambulacro sud-occidentale, un tema che si riconosce negli svolti del lato settentrionale del Pecile a Tivoli (12) e nella villa dei "Sette Bassi" vicino Roma datata, come è noto, all'epoca di Antonino Pio (13). Un'impronta decisamente adrianea può cogliersi soprattutto sulla facciata a semicolonne aperta sul medesimo lato sud-occidentale. Quel che rende peculiare tale facciata è l'intercolumnio non costante, che diminuisce gradualmente andando dalle estremità verso il centro, dove raggiunge i valori minimi (1 4). La struttura architettonicamente più rilevante è senz'altro la facciata monumentale che chiude la villa sul lato verso Punta dell'Epitaffio. In essa è particolarmente evidente la tendenza a minimizzare l'aspetto solido della muratura grazie al ritmo cromatico impresso dalle quindici esedre con le edicole e ciò viene ribadito dall'inserzione di nicchie rettangolari sulla facciavista posteriore che, col loro insinuarsi tra le esedre della facciata, determinano a livello planimetrico una serrata composizione che risolve l'intero spessore della parete in un gioco di vuoti contrapposti. Il disegno della facciata sembra ispirarsi ecletticamente a due distinti modelli, il primo dei quali è costituito dai prospetti monumentali elaborati dall'architettura romana tardo-repubblicana che, ad esempio già con i "Nicchioni" di Todi(15), si era cimentata nella definizione di una parete vivacizzata da una sequenza di nicchie semicircolari inquadrate da paraste (16). Il secondo modello, al quale si deve l'accento posto sugli episodi che impreziosivano le esedre e, più in generale, l'effetto "barocco" dell'insieme è senz'altro influenzato dalle partizioni desunte dalle scenografie teatrali. Sul principio del II sec. d.C. la suggestione esercitata dalle frontes scaenarum si poteva ormai cogliere chiaramente nei ricchi prospetti di una serie di ninfei che, come il più tardo e grandioso Settizonio della |
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