Dietro la facciata si è
detto che correva un ambulacro; esso era enfatizzato nel
suo lato settentrionale da una successione di nicchie
rettangolari precedute da un basso podio del quale resta
il muretto cementizio anteriore. Si può ritenere che le
nicchie fossero rivestite di stucco e inquadrate da
paraste del medesimo materiale che erano concluse da
timpani triangolari e curvilinei, secondo un gusto a
Pompei ben testimoniato dalle pareti esterne
dell'edificio di Eumachia (4).
Quel che è certo è che le forme di quest'ambulacro lasciavano trasparire una monumentalità che nel corridoio attiguo cede il passo ad una disposizione più ricercata: diciotto absidi (fig. 3) alternativamente rettangolari e semicircolari scandiscono, sul lato lungo del giardino, un percorso che si origina da un'aula circolare e tende verso un polo visivo contrassegnato da una fontana a edicola. Qui poi l'ambulacro piega a gomito e con altre absidi, larghe mediamente tre metri, costeggia il lato breve nord-est del viridarium. Due lati del grande spiazzo centrale avevano dunque un prospetto movimentato dalle sporgenze e dalle rientranze delle absidi rispetto al muro di fondo, ma non altrettanto omogenea appare la definizione delle parti restanti: il lato sud-orientale sembra presentare i resti di un portico marmoreo di modesta altezza (fig. 4), mentre il lato breve sud-occidentale si offre alla vista come una parete rettilinea alla quale si addossa quel che rimane di quattordici semicolonne laterizie impostate su basi formate da un basso plinto e da un toro (fig. 5). Alle spalle del lato ora menzionato si snoda un corridoio che vede le sue estremità slargarsi in due aule a pianta circolare e in prossimità del centro di tale ambulacro si apre, sul lato occidentale, un'ampia soglia marmorea che immette in un complesso termale del quale ben poco può dirsi, poiché esso emerge solo in minima parte dall'intrico della matta. Sul lato sud-orientale, in un contesto fortemente danneggiato dai marosi, si rileva, alla profondità di m 6,40, una gettata cementizia che si inoltrava obliquamente nei fiutti, seguendo un asse nord-sud. Su di essa si riconoscono diversi ambienti in opera reticolata che funsero in massima parte da cisterne; alcune di esse, ubicate nell'area non ancora studiata, sono intercomunicanti e di piccole dimensioni e si dispongono intorno a cortili quadrangolari; altre invece, come nel caso della struttura articolata in tre compartimenti paralleli, sono molto più ampie, con una lunghezza quasi pari alla larghezza della gettata. Accanto a queste ultime, nell'angolo sud-occidentale si trovano diversi ambienti in reticolato e laterizio che hanno restituito frammenti di lastrine di marmo lunense o di marmo rosso del Tenaro. Uno dei vani ha il lato di fondo absidato e si può ipotizzare che, insieme a quelli contigui, facesse parte di un piccolo padiglione residenziale aperto ad ovest. Cosa dovesse ammirarsi dal piccolo padiglione può comprendersi da quanto risulta conservato più a meridione, nell'angolo sud-occidentale della vasta gettata, dove si colloca una peschiera rettangolare divisa in vari compartimenti che, a loro volta, comunicano con vasche retrostanti ora fortemente insabbiate (5). I vivai della Villa dei Pisoni occupano un'area alquanto esigua, ma alcuni bacini sono insabbiati e non c'è ragione di credere che non ve ne siano altri: la peschiera era probabilmente più estesa, forse fin verso il citato padiglione, se non addirittura fino all'inizio della gettata, in prossimità del portico marmoreo sud-orientale. Il mare si incuneava infatti ben profondamente ad ovest dei vivai. Lo evidenziano non solo i due canali per il ricambio idrico su questo lato della peschiera, ma anche e soprattutto l'assenza, in questa zona, di opus pilarum e di gettate cementizie che, su un linea più arretrata, avrebbero dovuto segnare il limite raggiunto dalle onde. Qualcosa del genere sta in realtà tornando in luce, ma nei pressi della rotonda meridionale: perciò bisogna ritenere, a dispetto delle esigue parti superstiti mostrate dal rilievo, che i vivai occupassero una superficie molto più consistente. Assai meglio conservata appare la distesa delle pilae che si origina dinanzi all'imbocco della peschiera e corre su un asse est-ovest leggermente arcuato, coprendo una lunghezza di m 165 (tav. 1). L'opus pilarum proteggeva la retrostante gettata cementizia e si prolungava notevolmente verso est, allo scopo di riparare anche il settore sud-orientale della villa. Venticinque pilae rivestite di opera reticolata costituiscono questa grandiosa protezione foranea che inizia a 370 metri dalla costa attuale (6). In taluni punti i massicci piloni (che misurano mediamente m 7 x 8 e conservano un'altezza di m 4) appaiono disposti su diverse file consecutive e si impiantano ad un profondità massima di m 11,80. Molto probabilmente, essi rappresentano, al pari della peschiera dal disegno semplificato, la più cospicua sopravvivenza del primo impianto pisoniano, ma solo in futuro potremo valutare l'esattezza di tale asserzione, vagliando i dati che vanno emergendo dalle ricerche in corso. Da esse si attende, ovviamente, anche la ricostruzione di un quadro attendibile relativo alla storia dell'occupazione della villa dopo il radicale rifacimento avvenuto nel II sec. d.C. Sembra verosimile affermare che gli interventi edilizi posteriori dovessero essere molto ridotti: se ne è riconosciuta qualche traccia in muri di tamponatura presenti nelle terme orientali e dinanzi alla vicina facciata monumentale, |
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