LE TERME DI PUNTA DELL'EPITAFFIO A BAIA
di Nicolai Lombardo

Si espongono qui brevemente i risultati delle indagini condotte nell'area prossima alla Punta dell'Epitaffio a Baia, riprendendo il programma delineato alla fine degli anni '50 dal Maiuri e dal Lamboglia (i).

Si è in particolare concentrata attenzione su un complesso termale situato quarantotto metri ad est della Punta, con orientamento nord-sud. Occupa un'area di m 62,50 X 27,50 circa e, perlomeno nella sua ultima fase, risulta inferiore di circa un metro alla strada che cinge il promontorio, alla profondità di m 3,75 (tav. i).

Due nuclei specifici si distinguono per funzioni e orientamento: un edificio termale vero e proprio segue un orientamento NE/SO, mentre un ninfeo con ambienti circostanti segue l'asse N/S. L'accesso è dato da due gradini che dalla strada basolata (fig. i) scendono in una corte, movimentata sul fondo da un'esedra rettangolare di m 5,50 x 3,05 e sul lato destro da un piccolo ambiente di m 1,63 X 2,10 (2). Realizzato in laterizio, ha un elevato di appena due filari e probabilmente va interpretato come il perimetro di una fontana a vasca rettangolare.

Sui lati della corte due corridoi conducono alle due distinte parti dell'edificio. Seguendo quello settentrionale, meno conservato, attraverso due soglie riconoscibili oggi solo attraverso la presenza di un plinto trachitico che un tempo le separava, si raggiunge un vasto cortile di m 94,60 x 7,50 (3). Vari rimaneggiamenti si possono ricostruire anche dagli scarsi resti ancora in situ.

In una prima fase il cortile si presentava lineare ed elegante con una serie di quattro colonne tortili in marmo nero che, correndo al centro di esso, parallele ai lati lunghi ed unite, quelle più esterne, da una transenna di marmo bianco, segnavano l'ingresso ad un ninfeo posto su un podio (4) (fig. 2). In seguito, col mutare del gusto e delle mode, si rielaborò il tutto, fabbricando, parallelamente al lato orientale del cortile, un muretto che addossava le sue testate al rivestimento parietale in marmo della prima fase, ancor'oggi visibile nell'angolo N-E.

Questo tramezzo, spesso cm 60 e distante un metro da quello preesistente, è ridotto al solo nucleo cementizio e presenta sulla facciavista occidentale i fori lasciati dai pali della cassaforma entro la quale venne effettuata la gettata (5). Sotto di esso, in prossimità della parete meridionale del cortile, si è rinvenuta una canaletta scavata nella ruderatto del piano di calpestìo.

Scartando l'ipotesi di un rimaneggiamento per motivi statici, possiamo interpretare questo spazio tra i muri come un bacino di fontana lungo ben m 24,60. In origine esso era non molto alto, rivestito di marmo, rifornito, mediante cascatelle, dall'acqua di una fistula che doveva correre all'interno del muro perimetrale del cortile, oggi conservato per un'altezza di soli 25 centimetri.

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Si riscontra inoltre una ripavimentazione di tutto il cortile che inglobò le basi delle colonne (6); due di queste inoltre, quelle più esterne, furono rivestite e trasformate in pilastri quadrati, modificando in tal modo la facciata del ninfeo.

Il ninfeo consta di cinque lati movimentati da tre nicchie di cui quelle laterali disposte obliquamente. Si poteva raggiungere questo vano mediante due rampe di scale separate da due colonne di laterizio disgiunte da un plinto. Le scale prevedevano forse un solo gradino, ma è difficile stabilirlo, dal momento che il tufo con cui erano costruite si è quasi del tutto dissolto. L'ambiente, rettangolare, di m 13,22 x 6,62, è invece realizzato in laterizio.

L'elevato è assai malridotto. Si conserva per cm 1 7 solo sul lato nord dell'abside centrale, dove una lastrina di iallo antico, z'n si . tu, testimonia il tenore del rivestimento parietale; altrove ne restano uno o al massimo due filari laterizi.

L'abside meridionale, larga come quella settentrionale m 3,97 e profonda m 1,55, mostra un evidente rifacimento pavimentale: ad un primitivo piano in lastre di marmo policrome

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si sovrappose infatti, rialzato di circa 20 centimetri, un secondo piano, oggi ridotto al solo cementizio. Subito dietro le absidi meridionale e centrale si riconosce un vano pentagonale,

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che in un primo momento, tramite un ingresso poi tamponato, riportava nella corte ai piedi della scala. Grossomodo simmetrico a questo, al di là della corte, si conserva un altro vano la cui forma, vagamente ad "elle", fa pensare ad una latrina.

E' chiaro che l'elemento di maggior attrazione di questo complesso è il ninfeo su podio, la cui forma emidecagonale triabsidata e le particolarità struttive ne fanno un unicum. Non ci risulta infatti che altri simili monumenti del mondo romano presentino una forma analoga; ciò non toglie che sia comunque possibile istituire dei raffronti con strutture le cui peculiarità architettoniche e planimetriche rispecchiano i canoni di una determinata epoca.

Certamente l'articolata volumetria dell'episodio baiano prende spunto da una tipologia nata all'epoca dell'imperatore Nerone; la sala ottagona della Domus Aurea, con le immediate adiacenze, inaugura la disposizione radiale degli ambienti intorno ad un corpo centrale di forma poligonale e, a livello intuitivo, il nostro ninfeo riprende questa disposizione con le nicchie create oblique (7).

E' interessante tuttavia notare come, in realtà, questa vivacità compositiva del ninfeo non traspaia all'esterno: il monumento è infatti preceduto da un prospetto rettilineo ed il mosso andamento del suo perimetro è camuffato dai due ambienti pentagonali che trasformano la sporgenza dell'abside mediana nel fondo di un'esedra.

Solo dopo le costruzioni di Villa Adriana notiamo la consuetudine di trasporre anche verso l'esterno il movimento delle masse murarie, mentre nel ninfeo la filosofia progettuale sembra concentrata ancora verso l'enfatizzazione dei soli spazi interni. In definitiva, il monumento baiano si pone a metà di questo processo evolutivo e, considerando altri elementi quali l'opera muraria e il tenore delle decorazioni marmoree, è collocabile cronologicamente al tempo di Domiziano (8).

Il nucleo prettamente termale è raggiungibile seguendo il secondo ambulacro che, lungo m 27,75, in taluni tratti ancora mostra il pavimento in grosse tessere bianche disposte "a schiancìo".

In origine questo corridoio doveva proseguire sino all'area del ninfeo scavato nel 1981-82; poi, in seguito ad un profondo mutamento, esso venne tamponato e si arresta ora dinnanzi alle nostre terme.

Un ambiente di transito, il n. 8, dava accesso alla palestra (n. 7) posta all'estremità sud del complesso e agli ambienti riscaldati. La palestra si identifica in un cortile trapezoidale, realizzato in laterizio, conservatosi per un'altezza massima di 15 centimetri (9). Il pavimento mostra un battuto di cocciopesto, spesso cm 5, sottoposto ad una ruderatio con abbondanti inclusi tufacei (10). Tre ingressi movimentano il lato nord, ma quello più occidentale è posto poco oltre il muro di tamponatura con cui si isolarono le terme dal complesso originario.

Chiuso da un cancello era un ingresso posto ad est dove sino al 1991 ancora si poteva notare, su un lato della soglia marmorea, un cardine bronzeo fissato mediante una saldatura in piombo.

Si conserva ancora ben visibile la soglia che dava accesso al calidarium (n. 10), un vano realizzato in laterizio, di m 8,88 x 5,86, che mostra due absidi; sui lati corti entrambe realizzate accostando a quelli preesistenti nuovi; spezzoni murari; quella a S-E è rettangolare, l'altra; N-0, mostra il fondo curvilineo (11).

Il tepidarium (n. 11) era dotato di ben cinque íingressi, come si; conviene ad un vano che doveva svolgere funzione di raccordo tra calidarium, frigidarium, laconicum e l'ambiente di transito n. 9

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(12). Col tempo però vi furono dei mutamenti e l'area posta ad est, che prevedeva anche un piccolo laconicum (n. 12,)

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venne isolata. Non siamo in grado di spiegarne i motivi; tuttavia è ancora ben leggibile un iniziale restringimento della soglia orientale del tepidarium e una successiva sua obliterazione

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Ovviamente anche il tepidarium (n. ii) era dotato di suspensurae, come testimoniano i resti di una sottopavimentazione di bipedali e la presenza di due pilastrini laterizi, alti cm 44, rinvenuti affrontati sui lati lunghi orientale ed occidentale. Delle lastre di marmo che costituivano il pavimento resta un solo frammento nell'angolo occidentale, nei pressi della soglia che immetteva nel frigidarium. A nord due ingressi, di cui uno tamponato, introducono nel vano più ampio di queste terme: appunto il frigidarium (n. 13).

Si tratta di una camera di m 17 x 8,50, con il lato corto nord-orientale absidato; sul lato opposto una piccola vasca curvilinea, ricavata nello spessore murario, chiude quest'ambiente che nella zona mediana era movimentato da due setti murari curvilinei aperti ad imbuto sulla vaschetta di fondo. La zona compresa tra la grande abside e l'ingresso comunicante col tepidarium è occupata da una vasca di m 9 x 8,50, della quale è ancora visibile nell'angolo ovest una lastra del rivestimento parietale in marmo grigio con venature bianche. L'ambiente fu realizzato in opera mista con ammorsature in laterizio. L'abside, in laterizio, si conserva per un'altezza di cm 81. Numerosi anche qui i rifacimenti, evidenziati da tre varchi tamponati e dall'aggiunta dei due elementi curvilinei addossati ai lati lunghi. Soprattutto il lato lungo posto a nord mostra una discontinuità dell'opera muraria. Infatti, partendo dall'angolo occidentale, si riscontrano prima un breve tratto in opera reticolata, poi un ingresso, segue un altro tratto di reticolato con ammorsature in tufelli, un secondo ingresso successivamente tamponato con opera listata e poi occultato dal muro in cementizio con lato curvo.

Subito a destra di chi entrava nel frigidarium era la grande vasca dal fondo absidato: i frequentatori delle terme vi scendevano superando un basso muro (13). Gli agenti marini si sono particolarmente accaniti su questa porzione dell'edificio: si conserva appena, infatti, per un'altezza di cm 65, il fondo curvilineo realizzato in reticolato con ammorsature in laterizio e ricoperto in parte da signinum, ma il tratto anteriore della vaschetta con i gradini di accesso è conservato per un'altezza di soli cm 3.

Adiacente al frigidarium, un altro ambiente absidato (n. I4) mostra ancora le pareti in laterizio, che si conservano per un'altezza massima di cm 65. Il pavimento è scomparso e la sottopavimentazione laterizia oggi è testimoniata dalla presenza di un solo elemento sul lato sud-occidentale. La parete sud-orientale si distingue per essere realizzata in reticolato con ammorsature in tufelli, ma ne restano scarsissimi resti, tanto che solo nell'angolo meridionale si eleva per 10 centimetri. Nel medesimo angolo si notano anche dei tubuli fittili a sezione rettangolare simili a quelli che ancora si conservano nel laconicum (I4).

Alle spalle di questo vano si sono rinvenuti tre muretti laterizi paralleli, alti cm 30, impostati sopra un pavimento in tessellato bianco di prima fase. Si tratta di suspensurae che funsero da sostegno per il pavimento di un corridoio che fiancheggiava la natatio scoperta del complesso imperiale riconoscibile nel vano n. 15 (15). La vasca (m 8,37 x 4,85) fu realizzata in laterizio e presenta il piano di calpestìo più in basso rispetto agli ambienti limitrofi. Una pulitura eseguita nell'angolo nord-ovest ha riportato in luce l'intonaco che rivestiva le pareti coperte un tempo da marmi policromi. Alcuni frammenti sono stati rinvenuti lungo il lato orientale: si tratta di portasanta, giallo antico brecciato, pavonazzetto, rosso antico, serpentino, cipollino, vari tipi di marmo bianco ed un frammento di marmo nero.

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A questo punto ripercorriamo in breve le principali fasi di vita del complesso, cercando innanzitutto di datare le terme. La presenza di tubuli fittili nel laconicum e nel vano n. 16 non deve trarre in inganno; in realtà la maggior parte di questi ambienti prevedeva un uso di tegulae mammatae e il frammento rinvenuto nel tepidarium lo conferma. In termini cronologici ciò si spiega come una sorta di tecnica sperimentale; la novità dei tubuli, pur nota, viene usata con una certa parsimonia, preferendo affidarsi al più collaudato sistema delle tegulae. Per quel che ne sappiamo, i tubuli compaiono per la prima volta nelle terme marittime di Ercolano, datate dal Maiuri agli inizi dell'età flavia, ed è in quest'epoca, o poco prima, che anche a Baia dovette iniziare quest'uso (16).

Ancora in un'epoca compresa tra Nerone e i Flavi; possiamo inquadrare la particolare tecnica muraria utilizzata nella prima fase del frigidario: i radi ricorsi laterizi dell'opera mista ed i moduli che oscillano tra 23 e 25 centimetri ben rientrano nel "III periodo" del Lugli e consentono, seppure con la dovuta cautela, di datare il nucleo più antico di questo quartiere intorno agli anni '60 del I sec. d.C. (I7)

Qualche anno più tardi, come si è detto, se ne aggiunse un altro, quello del ninfeo, ma come si ricorderà, la cesura tra i due corpi non fu mai del tutto assorbita. Nel punto dove si realizzò la fusione dei due diversi nuclei del complesso la differenza di orientamento obbligò a soluzioni poco ortodosse, come la creazione dell'ambiente n. 16, di forma chiaramente irregolare (i 8).

Ben sette livelli sono stati riconosciuti, ma non tutti vanno interpretati come indizi di altrettante fasi, anche se è chiaro che queste terme videro nel tempo un gran numero di modifiche architettoniche e funzionali. In realtà è solo con il terzo livello che si notano mutamenti sostanziali, dovuti ad una nuova forma di utilizzazione non più legata ad un ristretto gruppo privato, ma aperta probabilmente ad un pubblico più vasto.

L'ambulacro n. 6 venne tamponato, si costruì il muro in reticolato a sud-ovest nell'ambiente n. 8: interventi che non lasciano dubbi sull'intento di separare definitivamente il complesso termale dal nucleo originario (19). Ed è ora che si crea il recinto della palestra, ma evidentemente con una tecnica affrettata, viste le pessime condizioni dell'elevato.

Quanto all'epoca in cui si eseguirono queste modifiche, si può osservare che il reticolato dell'ambiente n. 8 non presenta ammorsature in tufelli: questo potrebbe indicare che non si tratta di un'opera del I secolo, ma di un "revival" adrianeo (2o). Un altro utile indizio lo fornisce Plinio il Giovane, quando nel Panegirico (50) loda la decisione del Principe di vendere ai privati porzioni del praedium imperiale. Non siamo in grado di valutare quanta parte delle proprietà imperiali di Baia Traiano abbia reso disponibile ai privati, ma, con buona probabilità, gli interventi edilizi riconosciuti nella zona meridionale del nostro complesso furono avviati in questo periodo o in quello immediatamente successivo (21).

Un altro particolare interessante sono i due pilastri che ricoprirono le colonne esterne della facciata del ninfeo; è all'epoca di Adriano che si diffonde l'uso di pilastri accanto alle colonne e tali ristrutturazioni potrebbero essere datate appunto alla fine del primo quarto del II sec. d.C. Forse allora si provvide anche alla realizzazione del lungo bacino di fontana nel cortile del ninfeo. Qualche tempo dopo si ristrutturarono gli ambienti termali; il calidarium e il tepidarium furono dotati di suspensurae e di pavimenti marmorei, il frigidarium di un piano di calpestio posto su una ruderatio molto eterogenea.

Tralasciando le altre fasi, che del resto non offrono elementi sicuri di datazione, prendiamo in considerazione la settima. Torniamo sulle suspensurae a sud della natatio e sul muro laterizio sud-occidentale dell'ambiente n. 16. Con le prime si creò un nuovo assetto eliminando il passaggio verso il frigidario, all'interno del quale, presumibilmente in questa fase, si aggiunsero i due episodi curvilinei aperti sulla vaschetta di fondo. Nell'ambiente n. 16, con la creazione del muro sud-occidentale, sul quale si arrestano le suspensurae, si cercò di regolarizzare l'accentuata asimmetria del vano, adibendolo a vestibolo della natatio.

Certo non è semplice stabilire un'esatta cronologia per tutti questi interventi, ma l'elevato modulo dei laterizi, dovuto ad un grosso spessore della malta, porta a credere che la data degli ultimi rimaneggiamenti nelle terme sommerse a Punta dell'Epitaffio vada inquadrata nel III sec. d.C., in analogia con un uso riscontrato a Roma e in genere nel Lazio (22).

 

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