Il mare come risorsa nei Campi Fegrei
Il rapporto fra i Campi Flegrei ed il mare e le sue risorse
possiede una storia che può ben definirsi millenaria. Ai
tempi dei primi insediamenti greci nei Campi Flegrei, a Cuma
per l’esattezza,
appartiene una moneta sulla quale, in uno dei lati, era
raffigurata una cozza, a testimonianza del nesso fra
territorio e risorsa. Nel II sec. D.C. il cittadino romano
Sergio Orata avviò la prima coltivazione di pesci e frutti
di mare nel bacino lacustre di Lucrino, divenendo uno degli
uomini più ricchi di tutto l’Impero Romano.
Nel XIX sec. il Re Borbone volle impiantare nel Lago Fusaro
una coltivazione di ostriche che non avesse nulla da
invidiare a quelle che si coltivavano nella sua Francia. Fu
così che il Re fece arrivare dalla Francia dei tecnici
specializzati per avviare la coltivazione. Il risultato fu
talmente stupefacente che le ostriche del Lago Fusaro
raggiunsero una qualità così elevata che neanche in Francia
erano capaci di spiegare. I tecnici dovettero, quindi,
ritornare al Fusaro per capire come era possibile che la
qualità fosse superiore a quella francese.
Negli anni ’20 del XX sec. iniziarono dei lavori di
dragaggio che alterarono le batimetrie del Lago, consentendo
un maggiore afflusso di acqua salata, il che favorì la
coltivazione di cozze, più redditizia anche per i
quantitativi, ed annullò quella delle ostriche. Le cozze del
Fusaro divennero un motivo di attrazione per la loro qualità
elevata.
Parlando invece dei giorni nostri, dobbiamo partire dal
cattivo rapporto che l’uomo ha instaurato con il mare. I
casi di incuria, negligenza ed, addirittura, di violenza
criminale verso il mare sono frequentissimi. Si parte dalle
cattive abitudini dei cittadini che gettano in mare ogni
sorta di rifiuto, si passa all’inosservanza delle norme
ambientali ed all’indifferenza degli enti istituzionali nel
vigilare sul funzionamento degli impianti di scarico.
Classico esempio è quello del depuratore di Cuma, sotto
osservazione dalla sua costruzione per il suo
malfunzionamento. C’è, ovviamente, anche l’indisciplina
degli operatori che per anni hanno gettato in fondo al mare
le reti di innesto delle cozze, danneggiando la posidonia,
come quella dei pescatori che catturano specie protette o
espressamente vietate (datteri, pinna nobilis, bianchetti,
etc.).
A questo punto entra in gioco il principio di
responsabilità, che non deve essere più soltanto individuale
ma dell’intera filiera. Si parte dal cittadino consumatore,
il quale non deve chiedere in pescheria o ristorante specie
vietate o protette, così da giungere fino al pescatore, il
quale non avendo più richiesta non catturerà più ciò che è
vietato.
Solo creando questa responsabilità potremo essere certi che
una risorsa grande, ma non infinita, come il mare resti
davvero una risorsa ma, stavolta, duratura.
FABIO
POSTIGLIONE